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TIRO al BARATTOLO

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Partire

Partire, per me è sempre stata una fatica enorme.
Non è fare le valige il problema: è un fatto mentale. Fare lo zaino, o le borse, o le scatole sono un problema aggiunto, una fatica che diventa una scusa od un pretesto.
Non è neppure il problema della destinazione: la casa, gli amici, una vacanza, una ulteriore fatica od impegno, una qualche grana da affrontare, sono indifferenti rispetto alla fatica mentale della partenza. Mi succede tanto all’andata, quanto al ritorno, lasciare casa, una stanza d’albergo o una roulotte mi ha sempre fatto lo stesso effetto.
Per non partire ne ho inventate di tutte, anche inconsciamente, come quella di dimenticare qualcosa di importante che mi costringesse a tornare sui miei passi e allontanare di un po’ la partenza.
Una volta, ero ancora a Rosignano, oltre venticinque anni fa, don Andrea che abitava con me sprangò la porta e dalla finestra mi disse “se ti sei dimenticato ancora qualcosa: compratelo!”.

Per me, che da oltre trentaquattro anni frequento la Gente del Circo e del Lunapark, significa che non ho capito ancora nulla da queste persone perennemente in partenza, mai arrivate in nessun luogo di questo mondo. Non ho ancora capito nulla sulla verità del senso della vita. Tendiamo a mettere radici, cerchiamo stabilità, fissiamo dei punti di riferimento fisici, viviamo con i riflessi condizionati dagli ambienti e dai luoghi.
Siamo così stolti che tenderemmo a fissare le radici anche nella vita stessa, sapendo bene che essa scorre e tutto trascina inevitabilmente, anche quello che noi vorremmo tentare di bloccare e di tenere fermo, magari con una buona crema “anti-age”, ho scoperto che hanno inventato anche il dentifricio anti-age.

La Vita ci costringe a capire che sono altri i luoghi dove fissare le radici. Più volte ho citato don Calabria che diceva che noi uomini siamo (o dovremmo essere) come alberi capovolti che sanno dare frutti sulla terra ma che hanno le radici ben piantate in cielo … ci riusciremo mai?
“Partire è un po’ morire” siamo soliti dire, ma – ho trovato in una vignetta assai saggia – “restare lo è ancora di più” … qualsiasi sia il luogo della partenza e del restare.

I miei amici non partono e non restano, hanno scoperto la leggerezza della vita. Superano gli ostacoli con fatica “leggera”, sono educati, fin dalla tenera età a rompere le regole della gravità, dell’equilibrio, delle età, delle origini, delle religioni, della separazione tra animali … acquisendo della vita un senso leggero di cui, noi “rispettabile pubblico” si può ridere fragorosamente, e sanno suscitare emozioni che ci alleggeriscono dentro.
Finiremo mai di imparare da Gente così? Finché li lasciamo andare solitari porteranno con sé questa filosofia della vita chiusa in quel popolo, ma se ci mettiamo al loro passo in rispettoso ascolto, se ci rendiamo loro compagni di Strada forse possiamo diventare tutti quanti più ricchi della loro ricchezza. Per una Chiesa che dovrebbe avere radici nomadi che nei secoli ha perduto, dovrebbe essere un imperativo, anche per ricomprendere se stessa.

Questo ho tentato di fare, il più delle volte non capito, neppure da chi mi ha voluto molto bene, ma non da chi ha l’unico essenziale punto di riferimento nel rapporto umano, senza orpelli.

Può essere sembrato inutile e costoso girare l’Italia ed incontrare questa gente, passare del tempo con loro, guardarli, scambiare delle parole “leggere” di antica saggezza. Inaspettatamente ho raccolto un bagaglio ricco di umanità di cui fare tesoro e tentare a mia volta di offrirlo, ma chissà perché parlare di Circo e di clown mette in moto una serie di pregiudizi e sei guardato col sorriso a fior di labbra. Pazienza: Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur !

Prendo la valigia (ed il porta computer) e vado, non so ancora dove … a Livorno, certamente, dove sono nato e cresciuto, dove ho conosciuto la Chiesa e sono diventato prete, ma nell’incertezza di un incarico che, nonostante la paventata fretta, ancora non si delinea all’orizzonte. Pronto – spero – di riprendere quella valigia per dove il Signore mi chiamerà a servirlo.

I cinque anni di Roma, la cui interruzione sto vivendo come ingiusta violenza, mi hanno insegnato ad avere uno sguardo ampio sul mondo, ma anche di diffidare di chi vuol stringere il pugno del potere.
Il Vescovo Alberto, che mi ha accompagnato per un lungo tratto della mia vita, diceva sovente che un pugno stretto fa scivolare la sabbia tra le dita e ti lascia senza niente, solo una mano aperta al dono può offrire e raccogliere.

 

25 giugno 2011 - lasciando l'Ufficio della Migrantes